Da Wikipedia: “Il terroir[1] (parola francese, pron. teru̯àr) può essere definito come un’area ben delimitata dove le condizioni naturali, fisiche e chimiche, la zona geografica ed il clima permettono la realizzazione di un vino specifico e identificabile mediante le caratteristiche uniche della propria territorialità.[2]“
La Treccani definisce Terroir:
“terroir ‹teru̯àr› s. m., fr. (propr. «territorio»). – Nel linguaggio enogastronomico, termine indicante il rapporto che lega un prodotto (vino, caffè, ecc.) alle caratteristiche del microclima e del suolo in cui è coltivato.”
La Treccani in effetti è più precisa nel termine indicando un generico prodotto enogastronomico senza limitarsi al Vino. E chi ha studiato “il mondo del Vino” (inteso come corsi AIS, FISAR….) ha ben presente quanto le sopra citate definizioni siano quasi riduttive su quanto effettivamente il Terroir sia, e quanta importanza sul prodotto finito questo abbia.
Ma perché tutto questo?
Perché mi sono imbattuto in questo articolo:
Che un po’ mi ha fatto riflettere:
Accidenti certo che un whisky ha terroir! …perché no?!…. Sappiamo tutti che ogni distilleria ha la sua impronta ben definita, quel meraviglioso risultato ottenuto da terreno, malto, acqua….
Ecco… soprattutto acqua. E terreno se pensiamo alla torba… e a quelle distillerie nelle Islay dove il mare ha un valore aggiuntivo importante.
Se prendiamo a caso qualche libro dedicato al mondo dei Whisky… si parla quasi esclusivamente di questi due fattori, ovvero acqua e “location”, e la Location era spesso scelta proprio in base alla disponibilità di una fonte d’acqua duratura.
In “Whisky di tutto il mondo” di Michael Jackson possiamo leggere:
“…siccome le Highlands e le isole beneficiavano di acque montane scorrenti tra granito e torba, non c’era dubbio che il loro whisky era quello di maggior carattere [..]”
e ancora: “[..] La Rosebank usa l’acqua dell’acquedotto cittadino, che è morbida [..]“
per l’Auchentoshan: “[..] l’acqua del luogo proviene dal lago Cochno, si usano 4 diversi lieviti.[..]“
Daniel Lerner, nel suo “Single Malt and Scotch Whisky” si avvicina maggiormente al termine di Terroir:
“[..] la quantità e qualità di torba usata durante il maltaggio; il contenuto minerale e le caratteristiche dell’acqua usata da ogni distilleria; la vicinanza all’oceano; il tipo di orzo; il grado di germinazione e di maltaggio; lo stile, la forma e le condizioni di alambicchi e distillatori; l’esperienza del mastro distillatore e infine il tipo di barili usati per l’invecchiamento e la maturazione del distillato. Ma non possiamo neppure dimenticare le fate, i boschi e gli spiriti dell’acqua, tutto quell’universo di mitologia e leggende che popola la Scozia e il mondo del Whisky.”
e ad un certo punto parla proprio di Terroir:
“[..]Questo stesso concetto di terroir può forse spiegare perché l’Aberlour abbia un gusto così diverso dal Tamdu? O perché Lagavulin e Laphroaig, due distillerie di Islay a un tiro di schioppo l’una dall’altra, producano dei malti con un aroma e un gusto così diversi come lo sono la vaniglia e la liquirizia? La disponibilità delle materie prime senza dubbio influenza il carattere del whisky prodotto. Di certo, la quantità di minerali presenti nell’acqua impiegata nella distillazione incide nella presenza di un carattere torboso o minerale. Lo stesso si può dire del processo di essicazione del malto: la quantità di torba utilizzata, la durata di esposizione dell’orzo al fumo, le eventuali altre sostanze che vengono bruciate insieme alla torba (l’erica per esempio rende il fumo di torba più piacevole) sono tutti elementi importanti.”
Ne “Il gusto del Whisky” di David Wishart
“[..] Lo Speyside ha la maggior concentrazione di distillerie della Scozia grazie al loro isolamento, adatto storicamente a operazioni illegali, e alla qualità dell’acqua. In genere la si attinge dalle sorgenti che alimentano il fiume Spey dai monti circostanti, ricoperti da un manto di torba ed erica che si estende su sottili strati di granito e quarzo. La pioggia che cade su queste dure rocce, non essendo assorbita, delfuisce rapidamente fino alle distillerie e nei mesi invernali l’acqua è molto fredda[..]”
e ancora:
“Oggi si ritiene che sia la qualità dell’acqua il fattore principale a influire sull’aroma del whisky, ma anche questo fattore è soggetto a cambiamenti a causa delle disposizioni UE sulla purezza delle acque alimentari.”
Non tutti però la pensano allo stesso modo e meno male aggiungo io.
C’è chi di Whisky ne sapeva davvero molto e a quel chicco da molta importanza, tratto da “Whisky eretico” di Silvano Samaroli:
“L’orzo, che costituisce la materia prima del Whisky, nasce dalla “madre terra”. Il suolo è un organismo vivente e sensibile. Claude Bourguignon, l’agronomo francese che più si è dedicato a studiarlo, sostiene che un grammo di terreno può contenere fino a un miliardo d’organismi viventi, organizzati in modo tale che ogni elemento permette l’esistenza dell’altro. Sono concetti che mettono a dura prova la nostra razionalità, nonostante questi dati siano scientificamente attestati.
Quello che invece non è dimostrato, e che io sono convinto essere non solo reale, ma fondamentale nell’avvicinarsi al Whisky, è la straordinaria prerogativa del chicco d’orzo di inglobare e ritrasmettere tutti gli effluvi, gli aromi e i profumi che riceve dal mondo esterno.”
Ma quindi mi viene da dire… Ma se molti considerano l’acqua un fattore determinante, perché puntare all’orzo? Perché dare importanza a quell’elemento che poi viene ammostato, seccato, macinato e rimescolato nuovamente con acqua calda e infine fermentato…
Ora, la mia parte materialista mi porta a pensare che ormai nel mondo del Whisky non è che ci sia molto da innovare, dai Blend si è passati ai Single.. dai lunghi invecchiamenti si è passati ai no age, dalla pura quercia ex Sherry a ex botti di Sauternes… Manca qualcosa per rilanciare….
Aspetta che ci penso… il Bio! il Terroir! ed ecco che tra qualche anno avremo la biodinamica nel Whisky…
Il secondo, che forse è più una speranza, è che qualcuno finalmente ha cominciato a pensare a rispettare maggiormente il territorio, esaltando ciò che è in grado di offrire e che la differenza, le annate positive e negative, magari una minor resa, non sono dopotutto un male… anzi… appartengono al concetto stesso di Terroir.
E ciò significa riuscire a diversificare ulteriormente: perché chi ama il vino apprezza quando da un vino, si perpepisce l’annata mentre il whisky deve essere “di fabbrica” come molti dei vini standardizzati?
Aspettiamo di assaggiare e nel frattempo, citando Crozza che cita qualcun altro… “riflettetteteci sopra…”
Note sui libri citati:
Michael Jackson, “Whisky di tutto il Mondo” edito da IdeaLibri
Daniel Lerner, “Single Malt & Scotch Whisky” edito da Konemann
David Wishart, “Il gusto del whisky” Bolis Edizioni
Silvano S. Samaroli, “Whisky eretico” Giunti editore.