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tanto a poco

Ne è passato di tempo eh, tuttavia eccomi ancora qui, a scrivere di Whisky quando ho voglia o tempo ma soprattutto quando ho qualcosa da dire.

Tempo fa, e visti i miei tempi non saprei nemmeno dire quando, sono stato attirato in una Grande Distrubuzione dal Johnnie Walker Blender’s Batch #1, Red Rye Finish

Tiratura limitata (si fa per dire) un blend che come cita la retro etichetta:


“Ispirato ai sapori audaci dei whisky americani, questo è un esperimento attentamente valutato nel sapore dello scotch whisky, utilizzando un piccolo numero di whisky di malto e cereali estratti esclusivamente da botti ex bourbon di primo riempimento.
Affinato per un massimo di 6 mesi in botti ex segale per un perfetto equilibrio di intensa dolcezza.”

Secondo me è un esperimento davvero riuscito, il whisky è decisamente piacevole, facile certo, ma alla portata di tutti. Attenzione, non è decisamente adatto agli amanti dei torbati. Qui vince la morbidezza, la dolcezza che trasformate in note olfattive e gusto olfattive si possono riassumere in tanta albicocca, spezie, con un finale tendente all’ananas e cannella in tante sfumature.

Per 20 euro, ne vale la pena (se vi piace il genere)


Whisky e Terroir

Da Wikipedia: “Il terroir[1] (parola francese, pron. teru̯àr) può essere definito come un’area ben delimitata dove le condizioni naturali, fisiche e chimiche, la zona geografica ed il clima permettono la realizzazione di un vino specifico e identificabile mediante le caratteristiche uniche della propria territorialità.[2]

La Treccani definisce Terroir:

terroir ‹teru̯àr› s. m., fr. (propr. «territorio»). – Nel linguaggio enogastronomico, termine indicante il rapporto che lega un prodotto (vino, caffè, ecc.) alle caratteristiche del microclima e del suolo in cui è coltivato.”

La Treccani in effetti è più precisa nel termine indicando un generico prodotto enogastronomico senza limitarsi al Vino. E chi ha studiato “il mondo del Vino” (inteso come corsi AIS, FISAR….) ha ben presente quanto le sopra citate definizioni siano quasi riduttive su quanto effettivamente il Terroir sia, e quanta importanza sul prodotto finito questo abbia.

Ma perché tutto questo?

Perché mi sono imbattuto in questo articolo:

https://www.winemag.it/terroir-nel-whisky-come-nel-vino-uno-studio-dimostra-che-e-giusto-parlarne/

Che un po’ mi ha fatto riflettere:

Accidenti certo che un whisky ha terroir! …perché no?!…. Sappiamo tutti che ogni distilleria ha la sua impronta ben definita, quel meraviglioso risultato ottenuto da terreno, malto, acqua….

Ecco… soprattutto acqua. E terreno se pensiamo alla torba… e a quelle distillerie nelle Islay dove il mare ha un valore aggiuntivo importante.

Se prendiamo a caso qualche libro dedicato al mondo dei Whisky… si parla quasi esclusivamente di questi due fattori, ovvero acqua e “location”, e la Location era spesso scelta proprio in base alla disponibilità di una fonte d’acqua duratura.

In “Whisky di tutto il mondo” di Michael Jackson possiamo leggere:
“…siccome le Highlands e le isole beneficiavano di acque montane scorrenti tra granito e torba, non c’era dubbio che il loro whisky era quello di maggior carattere [..]”

e ancora: “[..] La Rosebank usa l’acqua dell’acquedotto cittadino, che è morbida [..]

per l’Auchentoshan: “[..] l’acqua del luogo proviene dal lago Cochno, si usano 4 diversi lieviti.[..]

Daniel Lerner, nel suo “Single Malt and Scotch Whisky” si avvicina maggiormente al termine di Terroir:

“[..] la quantità e qualità di torba usata durante il maltaggio; il contenuto minerale e le caratteristiche dell’acqua usata da ogni distilleria; la vicinanza all’oceano; il tipo di orzo; il grado di germinazione e di maltaggio; lo stile, la forma e le condizioni di alambicchi e distillatori; l’esperienza del mastro distillatore e infine il tipo di barili usati per l’invecchiamento e la maturazione del distillato. Ma non possiamo neppure dimenticare le fate, i boschi e gli spiriti dell’acqua, tutto quell’universo di mitologia e leggende che popola la Scozia e il mondo del Whisky.”

e ad un certo punto parla proprio di Terroir:

“[..]Questo stesso concetto di terroir può forse spiegare perché l’Aberlour abbia un gusto così diverso dal Tamdu? O perché Lagavulin e Laphroaig, due distillerie di Islay a un tiro di schioppo l’una dall’altra, producano dei malti con un aroma e un gusto così diversi come lo sono la vaniglia e la liquirizia? La disponibilità delle materie prime senza dubbio influenza il carattere del whisky prodotto. Di certo, la quantità di minerali presenti nell’acqua impiegata nella distillazione incide nella presenza di un carattere torboso o minerale. Lo stesso si può dire del processo di essicazione del malto: la quantità di torba utilizzata, la durata di esposizione dell’orzo al fumo, le eventuali altre sostanze che vengono bruciate insieme alla torba (l’erica per esempio rende il fumo di torba più piacevole) sono tutti elementi importanti.”

Ne “Il gusto del Whisky” di David Wishart

“[..] Lo Speyside ha la maggior concentrazione di distillerie della Scozia grazie al loro isolamento, adatto storicamente a operazioni illegali, e alla qualità dell’acqua. In genere la si attinge dalle sorgenti che alimentano il fiume Spey dai monti circostanti, ricoperti da un manto di torba ed erica che si estende su sottili strati di granito e quarzo. La pioggia che cade su queste dure rocce, non essendo assorbita, delfuisce rapidamente fino alle distillerie e nei mesi invernali l’acqua è molto fredda[..]”

e ancora:
“Oggi si ritiene che sia la qualità dell’acqua il fattore principale a influire sull’aroma del whisky, ma anche questo fattore è soggetto a cambiamenti a causa delle disposizioni UE sulla purezza delle acque alimentari.”

Non tutti però la pensano allo stesso modo e meno male aggiungo io.
C’è chi di Whisky ne sapeva davvero molto e a quel chicco da molta importanza, tratto da “Whisky eretico” di Silvano Samaroli:

“L’orzo, che costituisce la materia prima del Whisky, nasce dalla “madre terra”. Il suolo è un organismo vivente e sensibile. Claude Bourguignon, l’agronomo francese che più si è dedicato a studiarlo, sostiene che un grammo di terreno può contenere fino a un miliardo d’organismi viventi, organizzati in modo tale che ogni elemento permette l’esistenza dell’altro. Sono concetti che mettono a dura prova la nostra razionalità, nonostante questi dati siano scientificamente attestati.
Quello che invece non è dimostrato, e che io sono convinto essere non solo reale, ma fondamentale nell’avvicinarsi al Whisky, è la straordinaria prerogativa del chicco d’orzo di inglobare e ritrasmettere tutti gli effluvi, gli aromi e i profumi che riceve dal mondo esterno.”

Ma quindi mi viene da dire… Ma se molti considerano l’acqua un fattore determinante, perché puntare all’orzo? Perché dare importanza a quell’elemento che poi viene ammostato, seccato, macinato e rimescolato nuovamente con acqua calda e infine fermentato…
Ora, la mia parte materialista mi porta a pensare che ormai nel mondo del Whisky non è che ci sia molto da innovare, dai Blend si è passati ai Single.. dai lunghi invecchiamenti si è passati ai no age, dalla pura quercia ex Sherry a ex botti di Sauternes… Manca qualcosa per rilanciare….
Aspetta che ci penso… il Bio! il Terroir! ed ecco che tra qualche anno avremo la biodinamica nel Whisky…

Il secondo, che forse è più una speranza, è che qualcuno finalmente ha cominciato a pensare a rispettare maggiormente il territorio, esaltando ciò che è in grado di offrire e che la differenza, le annate positive e negative, magari una minor resa, non sono dopotutto un male… anzi… appartengono al concetto stesso di Terroir.
E ciò significa riuscire a diversificare ulteriormente: perché chi ama il vino apprezza quando da un vino, si perpepisce l’annata mentre il whisky deve essere “di fabbrica” come molti dei vini standardizzati?

Aspettiamo di assaggiare e nel frattempo, citando Crozza che cita qualcun altro… “riflettetteteci sopra…”

Note sui libri citati:

Michael Jackson, “Whisky di tutto il Mondo” edito da IdeaLibri
Daniel Lerner, “Single Malt & Scotch Whisky” edito da Konemann
David Wishart, “Il gusto del whisky” Bolis Edizioni
Silvano S. Samaroli, “Whisky eretico” Giunti editore.

Eventi, commemorazioni e dolci ricordi

E rieccomi… forse tornando a rivedere un poco di luce dopo mesi trascorsi tra architetti, ingegneri, muratori, geometri, ikea, leroy merlin, piastrellisti, idraulici, trasportatori, figu, oklaoma, sigarette….
si; ho ristrutturato casa con tutto ciò che ne consegue.

E in tutto questo tempo, gli hobby, interessi, passioni, amici…. sono stati un po’ trascurati… Ma come dicevo, forse si vede un piccolo bagliore… quel pezzo di carta con scritto: “fine lavori” è ormai giunto… questione di mettere qualche puntino sulle u come i crucchi e siamo a posto. Più o meno.

Ma di certo a voi dei miei lavori in casa non frega niente… voi vedete in foto 3 bellissime bottiglie e vorrete sapere il motivo per cui le ho messe.

Perché nella maggioranza dei casi parliamo del Whisky tralasciando un po’ il suo contenitore e soprattutto (in alcuni casi) del motivo per cui sta in quel contenitore con quella etichetta.
L’etichetta…
L’etichetta è quel pezzo di carta, il biglietto da visita che rappresenta il nostro Whisky dove l’utente medio legge la marca, l’interessato cerca un’annata, l’appassionato cerca un numero di cask, l’amatore cerca un motivo.
Ci sono casi dove non si imbottiglia solo un Whisky: si imbottiglia un evento storico, un’annata particolare, un traguardo raggiunto, o più semplicemente (e più poeticamente come nelle tre bottiglie sopra proposte) un’emozione, un pezzetto di cuore, un ricordo.
Perché quella di cui parliamo, è la serie dei Gatti di Giuseppe Bertoni del celeberrimo Mulligans a Milano.
Una serie di imbottigliamenti dedicati ai suoi Gatti, quelli che ha amato, che sono cresciuti con lui e che ha voluto ricordare grazie alla sua grande passione: il Whisky.
Ecco quindi (forse) che il contenuto va in secondo piano e non perché non sia buono, anzi: del naso e conoscenza di Giuseppe nessuno mette il dubbio ma ecco che la bottiglia diventa più di un semplice contenitore in vetro.

Non si tratta di un caso: sono tanti gli imbottigliamenti dedicati a persone importanti come ad esempio l’ Oban Old Teddy: prodotto in poco meno di 4000 bottiglie è dedicato al primo Master distillatore di Oban (chiamato appunto Old Teddy) oppure come Arran con il suo Master Of Distilling II The Man With The Golden Glass Single Malt Scotch Whisky dedicata al 12mo anniversario di James MacTaggart.
Ok dedicati a persone importanti, riferimenti per la distilleria… Ma quanti imbottigliamenti ci sono stati dedicati ai gatti? Dopo tutto i gatti sono fondamentali nelle distillerie: dove c’è orzo ci sono topi, e chi meglio dei gatti per cacciarli? (anche se “grazie” alle regole comunitarie legate ad igiene etc, ormai i gatti in distilleria sono puro decoro)
La Glenturret forse è stata una delle prime, con una statua prima:

e un cask poi, dedicato al gatto Towser (il gatto è quello nella foto sopra):

Un vero “recordGat..” visto che stando al Guinness dei primati, in 24 anni di onorato servizio, ha eliminato ben 28,899 roditori

Conoscete altri imbottigliamenti dedicati ai Gatti? fatemelo sapere!

PS
Sui social condividere un gattino fa sempre ottenere un certo successo…

PPS
I Gatti di Beppe sono un po’ anche i miei: da sinistra Micia, Sghilli e infine Bronte Emily Zaga, il mostro nero (in realtà è il marrone-nero ikea) che non ci fa dormire

Affinamento indignato!1!

Rompo questo lungo silenzio dopo l’annuncio dell’uscita dell’ultimo (ottimo) Longrow Red: la serie della Distilleria Springbank dedicata agli affinamenti in botti che hanno contenuto vino rosso.
La mia indignazione non sta tanto sull’affinamento perché a me piacciono gli affinamenti: indimenticabile l’Arran in Amarone, fantastico il Kilchoman in Sauternes… ma quello che mi fa rabbia è la superficialità con cui vengono dichiarati questi affinamenti.
Chiunque abbia una discreta passione nel mondo del Whisky, sa quanto il legno, la tipologia di legno sia importante nell’affinamento così come il passaggio, per non parlare di cosa ha contenuto prima (basti pensare ai risultati ottenuti usando botti ex sherry piuttosto che ex bourbon): cambia tanto… molto… cambia tutto.
Chiunque ha la passione del Vino, sa che dire “cabernet franc” piuttosto che pinot nero significa solamente indirizzare le aspettative, significa che nella degustazione, se so che nel bicchiere c’è un vino ottenuto da uno specifico uvaggio, mi devo aspettare certi profumi più o meno ricorrenti.
Doscorso simile per le botti…. botte grande e botte piccola… se pensiamo a come hanno rivoluzionato il mercato del Barolo (ma è un’altra storia)….
Però, perché c’è sempre un però, un appassionato sa che un pinot nero coltivato nell’Oltrepo’ Pavese è una cosa, un’altra è quello coltivato in Borgogna, altra ancora quello in Champagne o in Alto Adige.
In questi casi, la differenza c’è. Si sente al naso, alla bocca e al portafoglio.
Chiunque infine, abbia la passione del Whisky, del Vino, è Sommelier e pure pignolo, si imbestialisce quando vede certe etichette. Sì perché scrivere su una etichetta “affinato per due anni in botti di cabernet franc” mi fa nascere dal profondo un paio di domandine…
-Cabernet Franc? Ok… visto che cresce come la gramigna… di dove?
-Per quanto tempo le botti hanno contenuto cabernet franc?
-Di che passaggio erano?
-Di che annata era il cabernet franc?
-Com’era la tostatura?
-Quanto grosse le botti?
-Chi è il produttore del vino? (consentitemi: se è la cantina “vinellini truffaldini & co.” (spero non esista, la cantina. Il metodo purtroppo esiste eccome) che coltiva vigne a base di antiparassitari, diserbanti e anticrittogamici, preferendo quantità a qualità volendo vendere ettolitri ogni anno di vino a qualcuno che lo mischierà con altro vino dopo milioni di filtrature, aggiunte di acidi tartarici, lieviti che sanno già di prodotto finito…. per rivenderlo alla grande distribuzione in tetrapack è una cosa. Se si tratta invece di un serio piccolo produttore che preferisce qualità a quantità è un’altra)
-le botti di cabernet franc hanno solo affinato o anche fermentato?

Insomma, c’è talmente tanta entropia e varietà che dire affinato in botti di xxx è come dire: “vino rosso” o “vino bianco”

Ma come sei pignolo! direte voi. Verissimo. Si tratta dopo tutto di un “semplice” affinamento, tutte le mie domande e ridicole elucubrazioni non influiscono minimamente sul risultato finale.
Si? Davvero?
Quindi… Quando leggiamo “affinato in Sauternes”, considerando che, se si tratta di un “normale” Sauternes si trova a 30 euro la bottiglia (anche meno) ma se si tratta di Chateau D’Yquem a parità di annata il prezzo è di 400 è la stessa cosa?
E se aggiungo che nel secondo è vero che dura millanta anni in cantina ma è altrettanto vero che i solfiti aggiunti sono tanti che al 90% il giorno dopo avrete mal di testa (nel mio caso) è ancora la stessa cosa? (si vabè questa ve la concedo: i solfiti maggiori vengono aggiunti all’imbottigliamento altrimenti manco fermenta)

Temo sia giunto il momento di tirare le somme…: Assaggiate il Longrow perché come detto, Springbank fa grandissime cose e se vi piace ignorate pure i miei deliri mentali, ma magari un dubbio ve l’ho inculcato.

PS
L’alta quantità di solfiti aggiunta ai prestigiosi Sauternes ha un motivo molto valido: la grande quantità di zuccheri residui rischierebbero di far partire seconde fermentazioni non desiderate e per questo motivo i solfiti aggiunti sono ai limiti consentiti per legge poiché impediscono un’eventuale ripartenza della fermentazione. Non è un problema solo legato a Sauternes ma alla maggioranza di vini dolci. La soluzione è lasciare la bottiglia taaaanti anni in cantina così da consentire ai solfiti di diminuire (andate a cercare come, non farò un trattato sui solfiti qui, ma era giusto spiegare il motivo)

la rotazione del bicchiere col Whisky

si fa o no?

Frequentando uno dei tanti gruppi su facebook è emerso che durante la degustazione, roteare il bicchiere (per bagnare tutte le pareti col liquido) con il Whisky parrebbe controproducente perché ci si limiterebbe a far emergere l’alcool ma non gli aromi.

Non sono per niente d’accordo ed ecco perché.

Non consideriamo per un momento il Maestro Sommelier per eccellenza:

Ma basterebbe guardare qualcuno che di Whisky ne capisce giusto… “un pochino”:

e potrei anche fermarmi qui. Ma siccome sono pignolo e permaloso e quando mi si contraddice, per convincermi occorre provare ciò che si afferma altrimenti si rientra nelle Legge di Green sul Dibattito (tutto è possibile se non sai di che cosa si sta parlando)… ecco un po’ di argomentazioni e un paio di premesse.
Continua la lettura di la rotazione del bicchiere col Whisky

ciao ragazzi…. sono tornato!

Chi mi ha dato per disperso, chi rapito dagli alieni (Gattone sei sempre con me) chi ancora pensava avessi abbandonato il mondo del Uischi…. (il blog che raccoglie più: “ah no… non era questo sito, chiudilo” della storia)… ebbene… ero solo a studiare, scusate 🙂
Ho passato l’ultimo anno in ritiro diVino, iscritto al terzo corso di Sommelier AIS ho, giustamente, dovuto studiare… e quindi tutti i frizzi e lazzi, Uischi e frazzi sono stati accantonati (pensate che ho ancora il libro “My Name is Whisky” incellophanato) ed è per questo che non sono nemmeno venuto al Milano Whisky Festival (anche per un altro motivo a dir la verità che i medici chiamano broncopolmonite) e quindi insomma….  sono passati 3 anni dall’iscrizione al primo livello… ma finalmente il 15 gennaio ho dato l’esame scritto, il 29 l’orale e ora, a quanto pare sono Sommelier (il diploma da esibire nei miei 5 minuti di “vuole fare lo sborone!” arriverà più avanti)… sono tornato quindi, ad infastidire chi ha goduto della mia assenza e a contribuire al mondo del Whisky con la stessa utilità di una zanzara in una risaia d’estate

PS
Chi fosse interessato a frequentare il corso di Sommelier, o lo stesse già facendo….. qui qualche consiglio:
diventare Sommelier AIS

Distillerie des Menhirs

Amo le piccole distillerie, quelle che sono ancora in grado di portare avanti progetti piccoli ma importanti e che puntano alla qualità più che alla quantità. E’ forse un discorso ovvio, ma come nel vino anche nel Whisky secondo me si sta cercando di bere meglio, anche se meno.

Tra le distillerie del mondo, la Distillerie des Menhirs è una piccola realtà che ha voluto e saputo realizzare un Single Malt (di grano nero) che sapesse esaltare le caratteristiche del territorio e stiamo parlando della Bretagna, zona meravigliosa nel nord ovest della Francia e in particolare del Finistére, dove la Terra finisce ed inizia l’oceano.
L’anno scorso sono andato a trovarli e puntuale (un anno dopo) concludo gli appunti che presi….

I due Menhir accanto al posteggio, che danno il nome alla Distilleria

Qualche passo indietro…
Correva l’anno 1921 e Francès Le Lay (bisnonna degli attuali proprietari) acquistò d’occasione un alambicco per distillare l’acquavite di sidro (che a sua volta è un fermentato a basso volume di alcol del succo di mela), ottenendo così il Lambig. Continua la lettura di Distillerie des Menhirs

Sul colore del Whisky

Riflessione molto breve visto che ultimamente mi trovo molto impegnato, faccio piuttosto tardi e non riesco a dedicare un po’ di tempo al Distillato….
Mi è capitato di leggere su diverse recensioni online ma anche su libri riguardo il colore, il termine: “vino bianco”.
Come se “vino bianco” fosse un colore univoco e rappresentativo.

No, non è così, usare questo termine per descrivere il colore di un distillato è decisamente riduttivo.

Nel mondo del vino si utilizzano almeno 4 termini per identificare il colore del vino bianco ed in particolare:

Giallo verdolino
Giallo paglierino
Giallo dorato
Giallo ambrato

a cui si possono aggiungere le varie sfumature, riflessi, tendenza (ad esempio, giallo paglierino con sfumature verdoline oppure giallo dorato tendente all’ambrato).

Voi potrete obiettare dicendo che questo è Whisky, non Vino. Si, avete ragione. Ma allora di che colore è il Vino Bianco?

Il dopo MWF 2016

Il Milano Whisky Festival 2016 è terminato e mi sembra giusto raccogliere un po’ di emozioni e cercare di trasmetterle quando ancora sono calde e i ricordi vivi.
Sono stato presente la domenica e mi sono perso un sabato da UAU! con un numero di partecipanti davvero incredibile, la domenica però non ha scherzato per nulla, i numeri non li conosco ma era un continuo afflusso di persone. Il merito va tutto a Gervasio Dolci Giuseppe, Andrea Giannone e a tutti quelli che con loro hanno consentito l’organizzazione di un evento tanto bello e tanto atteso (dai che al prossimo mancano solo 363 giorni…..).
Ma perché è così bello? Perché alla fin fine è un ritrovo, perché quando sono arrivato ho passato la prima mezz’ora a salutare i tanti amici con cui si ha a che fare principalmente sui Social Network (nel mio caso) ma che finalmente si ha la possibilità di abbracciare e scambiare due parole tenendo tra le mani un ottimo dram.
Si perché ovviamente ho assaggiato anche io, il giusto (poi dovevo guidare) e qualche sample me lo sono portato a casa….
Purtroppo si tratta come sempre di un “va dove ti porta il cuore” o il consiglio di un amico in alcuni casi…. ovvero una selezione incredibilmente piccola di ciò che era disponibile (per questo è bene sempre portarsi tanti sample da riempire… io ne avevo solo 6… decisamente troppo pochi….)
Ad ogni modo….

Comincio il mio giro con Andrea di Hidden Spirits, imbottigliatore indipendente con un naso sopraffino (tanto che Murray nella sue Whisky Bible 2017 gli ha riconosciuto punteggi da togliersi il cappello: 96.5 per il Longmorn LNG.315 11yo e 94.4 per il Linkwood LKW.716 18yo). Da lui assaggio un elegante Blair Athol (Bla.214 /11year) e mi riempio un bel sample col Linkwood 18 anni

Il mio giro prosegue col suggerimento del mitico Sebastiano che mi indirizza verso Angelo Corbetta indicandomi il Balblair ’90, 21 anni di invecchiamento in ex-bourbon di cui gli ultimi due affinato in Oloroso Sherry. Qui ho trovato un Whisky incredibilmente pieno, elegante con un naso di Sherry, frutta matura, frutti rossi e in bocca sentori di resina, datteri con un finale lungo e persistente. Una bottiglia che voglio assolutamente avere.

Nel mio giro un sample va al Kavalan Solist in Sherry Cask, distilleria taiwanesedi cui avevo comprato una bottiglia quando per la terza volta vinse un oro a competizioni internazionali. La bottiglia non l’ho mai aperta (fa parte della mia collezione) e ho voluto prendermi un secondo sample  da assaggiare con calma e recensire.

Davide Romano (Valinch and Mallet Whisky) mi ha proposto un recentissimo Blair Athol 21 anni imbottigliamento (da 10 giorni in bottiglia!) ha bisogno di un po’ di tempo era ancora chiuso e anche con l’aggiunta di un goccio di acqua, un riassaggio è d’obbligo
perché i suoi prodotti sono superlativi e merita davvero

Altri sample con il Kilchoman Sauternes cask (e qui non si tratta di un affinamento… è stato invecchiato per 5 anni in botti ex sauternes che, per chi non lo sapesse, è un vino bianco dolce della zona di Bordeaux dove la Botrytis Cinerea consente di creare meraviglie che spesso hanno sentori di passiti e zafferano, anche se a volte diventano a mio giudizio quasi stucchevoli a causa dell’eccessivo zucchero residuo)  Si tratta quindi di un Whisky che mi incuriosisce molto, la torba, il fumo di un Kilchoman in una botte del genere? Vedremo all’assaggio….

Altro assaggio è stato il Kilkerran “finale” della distilleria Glengyle che ha raggiunto finalmente i 12 anni di invecchiamento. Fino ad ora i vari “work in progress” hanno evidenziato grandissime potenzialità (notevole il 6th Work in Progress in Bourbon). Ho trovato un Whisky estremamente equilibrato, che però voglio riassaggiare con calma perché avevo ancora in bocca il finale persistente del Balblair.

Concludo con quella che per me è stata la sorpresa di questo Milano Whisky Festival….
Attirato dalla scritta “The first Italian Single Malt” che troneggiava sotto il nome “Ghibinèt”, ho fatto due chiacchere con Mauro Leoni, fondatore del Glu Glu 2000, The Mailt Whisky Club che nel 2008 (ma che sicuramente covava da prima) ha convinto la Peloni (Birra Stelvio e Braulio) a produrre il Whisky distillando di fatto, la propria birra. L’idea di Mauro però è andata oltre, non lasciando maturare per 8 anni il distillato in botti a caso… ma in botti di Islay, provenienti da Caol Ila. Al naso il fumo era presente ma non invadente, con note balsamiche; in bocca è stata un’esplosione di fumo e salamoia con ancora deliziose note balsamiche. Era l’ultimo assaggio, ma mi sono riempito anche un sample per poterlo ridegustare con calma…
In auto, dopo circa 30 minuti, avevo ancora in bocca il finale del Ghibinèt (nome che, mi ha spiegato Mauro derivare dalla fusione del tedesco di ‘Gaben’, doni e ‘Nacht’ notte)

Insomma… un Whisky Festival davvero bello e con tantissimi partecipanti e il merito come ho già detto ma non finirò mai di ripeterlo va sicuramente tutto ad Andrea Giannone, Gervasio Dolci Giuseppe al loro Staff e a tutti quelli che sono stati “al di là” dei banconi, a soddisfare con pazienza, competenza e professionalità le nostre curiosità e a riempire con calma e delicatezza ma con un filo di odio profondo i miei sample dall’imboccatura minuscola 😀

Arrivederci al Milano Whisky Day! (Maggio 2017)

La Guida alla guida!

Tante volte capita di sentirsi dire: “vorrei capirne di più” oppure “come posso fare per avvicinarmi al Whisky?” Ebbene è arrivato il momento di realizzare (rullo di tamburi)
“La Guida… alla guida!”
Una sorta di riassunto in tempo zero che vi aprirà le porte ma non vi darà alcuna spinta perché a quella dovete, se volete, pensarci Voi.

Disponibilità economica
Si è triste parlare subito di soldi, ma il whisky come qualunque cosa, ha un costo e spesso è alto. Un investimento iniziale più o meno grande va fatto esattamente come quando vi comprate un paio di scarpe per andare a correre, uno strumento musicale o pagate l’iscrizione ad un corso di cucina.

si parte con meno di 50 euro
E’ una cifra davvero minimale per cominciare e il consiglio è fare alcune ricerche su internet risparmiando per il “bere”.
Le parole chiave da usare su Google sono: “guida al whisky”, banale ma funzionale, e se finite su pagine come:
Corso sul Whisky
Guida al Whisky
Gli ingredienti base
oppure su questo sito, cercando la serie: “dova nascerne un libro
siete sulla buona strada.
Cercando su internet con google troverete centinaia di siti, leggerete di tutto e comincerete a familiarizzare con la terminologia. Quello che vi manca a questo punto è cominciare ad assaggiare con cognizione di causa ovvero sapendo ciò che bevete (e non giusto per fare il ruttino dopo un buon pasto). Fondamentale è diversificare, assaggiare Whisky diversi per capire che è un mondo molto ampio. I primi da assaggiare magari in un Pub una sera sono:
Dalwhinnie 15 anni
Laphroaig 10 anni
Lagavulin 16 anni
Cardhu 12 anni
Sono 4 whisky che si trovano praticamente ovunque, supermercato compreso.
Se siete timidi o non frequentate Pub per vari motivi (famiglia, lavoro, impegni, non hai un Pub vicino casa e l’unico Bar è un ritrovo di vecchietti che giocano a carte col bianchino accanto….) puoi pensare di acquistare le bottiglie al supermercato (hanno costi che variano dai 25 ai 35 euro) oppure su siti come:
Master of Malt
è possibile acquistare Sample, ovvero boccette da 3cl anziché bottiglie. E’ vero che poi occorre aggiungere le spese di spedizione in Italia ma al costo di un paio di bottiglie potete portarvi a casa diversi sample e assaggiare nel breve diversi prodotti (molti dei quali difficili da trovare in locali non specializzati)
Il passo successivo è quello di acquistare un buon libro:
Degustare il Whisky” di Lew Bryson (circa 25 euro) che ho recensito QUI; questo libro è una vera e propria guida al Whisky, dalla produzione alle tipologie, dalla degustazione al collezionismo.

In base ai vostri interessi e tempo libero poi ci sono i tantissimi eventi organizzati dal Milano Whisky Festival o dal Whisky Club Italia (quest’ultimo organizza anche viaggi in Scozia, corsi di degustazione e serate con degustazione in tutta Italia)
Appuntamenti annuali come il Milano Whisky Festival (solitamente a novembre), il Roma Whisky Festival (organizzato da Spirit of Scotland) o ancora il Milano Whisky Day (un festival di un giorno solo) sono appuntamenti importanti per “uscire dal nido” e aver l’occasione di seguire seminari, assaggiare al giusto prezzo Whisky spesso rari o introvabili e che comunque non si trovano certo nei supermercati, parlare di Whisky in atmosfere davvero amichevoli.

L’aspetto successivo, relativo alla degustazione è il riconoscere i sentori, gli aromi e profumi del distillato arrivando a riconoscere il whisky in base al profumo (ma ci vuole tantissima esperienza e quindi tantissimo tempo)

Il concetto fondamentale è assaggiare tanti whisky diversi, solo così vi farete un vostro bagaglio di esperienze gusto olfattive, senza puntare subito su edizioni particolari, limitate o affinamenti esotici, ma andando sul semplice, sugli imbottigliamenti classici delle distillerie, il tempo e l’esperienza faranno il resto. I vostri gusti personali e il vostro naso farà il resto.